Nei primi mesi di vita il bambino impara che esiste un mondo esterno rispetto a sé attraverso le risposte perfettamente contingenti allo stimolo, per esempio guardandosi le braccia o le gambe muoversi. La madre per rassicurare il piccolo in questi primi mesi ha bisogno di fargli sentire il contatto fisico.
A circa tre mesi compare l’interesse verso quel mondo esterno del quale ha realizzato l’esistenza nei mesi precedenti. Ora riesce a prestare attenzione agli stimoli anche leggermente fuori sincrono, quindi talvolta imprevedibili, per esempio colpisce un oggetto con il piede e ne osserva le conseguenze. Il bambino riesce a tranquillizzarsi anche con comunicazioni emotive da parte della madre che incentivano la rappresentazione degli affetti nel piccolo. La frase “Stai tranquillo, non ti arrabbiare, la mamma sta arrivando” pronunciata con tono caldo e rassicurante aiuta il bambino a placarsi pur non avendo ancora ben chiaro il significato delle parole pronunciate dalla madre. Questo passaggio nasce proprio dalle prime interazioni di rispecchiamento tra chi si occupa del bambino e il piccolo, funzione che è universale e biologicamente determinata in ognuno di noi.
Il genitore attraverso queste azioni di rispecchiamento permette al bambino di comprendere che, mostrando i propri stati interni, gli viene garantita una regolazione degli impulsi affettivi. Il bambino, ad esempio, impara cosa significa essere arrabbiato attraverso le parole dell’adulto che lo aiutano a dare un nome rispetto a quello che sta sentendo dentro di sé in termini di pensieri, sensazioni corporee, ecc. L’adulto che si prende cura del bambino svolge il ruolo di regolatore affettivo che aiuta il piccolo a riconoscere quali emozioni sta vivendo. La madre risponde al pianto del figlio con un’espressione marcatamente triste (per poterla distinguere da un’emozione realmente vissuta da lei) alternata a sorrisi e intercalare dolci volti a rassicurare il piccolo. Il bambino impara così a conoscere le proprie emozioni, a interiorizzare una rappresentazione della sua esperienza emotiva e a differenziare i propri stati interni da quelli di un altro, all’interno di una situazione relazionale. Questo processo è alla base della percezione di poter influenzare con il proprio comportamento non solo il mondo degli oggetti ma anche le altre persone.
Quando tutte le fasi di questo processo si sviluppano adeguatamente si crea la possibilità di riconoscere e comprendere gli stati affettivi, cioè sarà in grado di “mentalizzare”. Lo psicoanalista Peter Fonagy con questo termine da lui coniato intende definire “quel processo mentale con cui un individuo implicitamente ed esplicitamente interpreta le proprie azioni personali e quelle degli altri come significative sulla base di stati mentali intenzionali, quali desideri personali, bisogni, emozioni, credenze e ragioni”. Tale modalità permetterà al bambino di autoregolarsi, di potersi rappresentare e di avere capacità di espressione affettiva. Il bambino svilupperà la capacità di tenere a mente la mente, cioè riuscire a considerare gli stati mentali propri e quelli degli altri, comprendere i fraintendimenti, saper leggere le proprie reazioni dall’esterno e intuire cosa provano/pensano internamente gli altri ed infine essere in grado di sviluppare una prospettiva mentale. Il bambino imparerà quindi a saper stare in relazione con gli altri in maniera adeguata e a vivere le proprie emozioni ed esprimerle serenamente.